Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640 [pag. 2]

Sottocapo di 1° Classe Scelto
conat (autore)
Mi piace
- 11/32
qwertys ha scritto:
ma puo' essere tutta questa artigianalita' in senso cattivo del cantiere (addirittura fori errati?)?ok che ho visto veramente di tutto ma strano,sembrano sempe interventi pasticciati da terzi

Di quel foro se ne erano accorti loro stessi, infatti lo avevano tappezzato alla bell'e meglio, anche se da dentro si vedeva benissimo la stuccatura. La stessa cosa è successa con il foro per posizionare la leva del telecomando Ultraflex che va all'invertitore e acceleratore: avevano fatto il buco troppo vicino alla seduta poppiera, cosicché in retromarcia non riuscivi a prendere tutti i giri perché la manetta avrebbe sbattuto contro la seduta. Anche lì, toppa di VTR e foro rifatto 10 cm più avanti.
qwertys ha scritto:
ho letto un po' veloce,ma un ombrinale diciamo doppio collegati con un tubo fra loro non era fattibile vero?per lo spazio immagino....sono curioso di capire cosa hai fatto (e meno male che non ne capivi ecc.)

Questo è proprio che abbiamo fatto nella seconda e terza versione. Inizialmente ci sembrava impossibile per gli spazi, poi abbiamo capito che potevamo spostarci.
Levante Ligure
Gozzo Italmare 640
Sottocapo di 1° Classe Scelto
conat (autore)
Mi piace
- 12/32
Capitolo 2bis – Ancora ombrinali
Visto che la versione 1.0 era durata anni senza problemi, potevamo semplicemente sfilare il tubo, togliere il silicone, ridarne di fresco e rimettere il tubo (magari bianco stavolta…). Ma cercavamo qualcosa di più definitivo.
Così ci buttiamo sulla soluzione che era stata suggerita nel commento di qwertys: due passaparatia fissi, solidali ognuno alla “sua” murata, quindi uno interno e uno esterno, e un tubo flessibile che li colleghi e che assorba le eventuali deformazioni. Sembra molto facile ma ci sono alcuni problemi, che poi è il motivo per cui era stata scartata in principio:
-lo spazio che, come si vede dalle foto precedenti con il metro, è veramente minimo;
-all’altezza del foro, sulla stampata esterna, inizia il flap, che fa uno spigolo che non consente di stringere adeguatamente il dado, quindi bisogna alzarsi o abbassarsi con questo risultato:
Disallineamento
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Questo sarebbe l’allineamento seguendo i fori esistenti.
Però, nessuno ci vieta di guadagnare spazio andando verso poppa. Eh sì, non ci avevamo pensato.
Quindi, tappiamo i fori, con un procedimento che alla fine per comodità e risultati è diventato il mio standard per questo tipo di rattoppi:
- si stende dello scotch largo per un’area maggiore a quella della toppa;
Scotch
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

- si posiziona un foglio di carta antiaderente per l’area necessaria alla toppa;
Antiaderente
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

- si dispone lì sopra i necessari strati di mat o di stuoia resinati.
Mat
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Resina
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Praticamente è come fare un megacerotto a base di VTR. Si piazza sul buco, o dove serve, e quando secca si strappa via lo scotch e rimane la laminatura.
Messa in opera
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Probabilmente per i più è la scoperta dell’acqua calda.
Stuccatura
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Una passata di stucco a rasare e la stampata è come se fosse stata vergine in quel punto, potevamo forare dove volevamo. Quindi, invece di andare verso l’esterno, andiamo verso poppa.
Sulla stampata interna mettiamo un passaparatia standard di plastica bianca filettata, tagliato appena 2 cm dopo il dado, giusto per lasciare lo spazio necessario al tubo di essere stretto con una fascetta inox.
Il problema è sulla stampata esterna: in quel punto la raccordatura del flap sale molto alta, e dove dobbiamo forare è a 45 gradi di inclinazione, quindi mettere un passaparatia lì significherebbe averlo orientato a 45 gradi verso il basso, e il tubo di collegamento per raccordarsi dovrebbe fare un incredibile collo d’oca. Ok che abbiamo guadagnato spazio, ma non è che adesso avessimo a disposizione dei metri, e un tubo da 35 ha dei raggi di curvatura piuttosto ampi.
Qui le idee prendono strade diverse: io sarei per resinare un moncherino di tubo obliquo in modo tale che finisca per essere orientato precisamente verso il passaparatia interno. Mio nonno e mio zio propongono per mettere un passaparatia filettato e poi una curva femmina a 90 gradi, e su quella avvitare un portagomma maschio. A quel punto l’uscita è quasi dritta e il tubo di gomma ci sta molto bene. Siamo in democrazia e vincono loro.
Spero che lo schema allegato aiuti a capire meglio quanto descritto, purtroppo, non essendo un "mio" progetto non l'ho seguito molto e non ho foto.
Nuova posizione (verde) rispetto a quella precedente (rosso)
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Schema
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Riguardandola ora, non capisco come non ci siamo accorti che non poteva funzionare, ma tant’è, questa soluzione ha comunque fatto una (o forse due) stagioni prima di essere pensionata, durante le quali la barca non è affondata. I’ll take it as a success.
Levante Ligure
Gozzo Italmare 640
Capitano di Vascello
sergetto
2 Mi piace
- 13/32
complimenti per le capacità artistiche Thumb Up
Sottocapo di 1° Classe Scelto
conat (autore)
1 Amore
- 14/32
Capitolo 2ter – La soluzione attuale e (speriamo) definitiva


Scarica lenta
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Come si vede dalla foto, questo era il problema principale. Col fatto che il condotto subiva 2 curve a 90 gradi, non c’era uno “scivolo” diretto per l’acqua, e considerando che il foro d’uscita era soltanto qualche centimetro più in basso di quello in ingresso, la differenza di pressione che avrebbe dovuto spingere il collo d’oca era pochissima.
E qui eravamo ad inizio stagione.
Quando l’abbiamo riportata a casa, dentro i passaparatia esterni c’era una barriera corallina in miniatura e le curve a 90 gradi erano quasi intasate dai denti di cane.
Ora, dato che io avevo bocciato quella soluzione in tempi non sospetti, potevo riproporre la mia idea originale da una posizione di forza. Ed essendo rimasto l’unico progetto intentato era anche automaticamente il vincitore dell’appalto.
La mia era una versione raffinata del medesimo concetto: tubo flessibile fra due innesti fissi. Solo che invece di usare dei passaparatia, avremmo usato dei moncherini di tubo resinati. Per farli diventare strutturali avrei dovuto usare un tubo di vetroresina, che avrebbe fatto corpo col resto.
Progetto
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Mock-up
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Tubo mock-up usato come dima per la foratura.

La parte più difficile è stata proprio trovare l’occorrente sul mercato senza ricorrere a costose richieste personalizzate, tant’è che inizialmente avevo pensato di “stamparmi” da solo il tubo, colando resina su un foglio di mat avvolto tra due tubi di PVC concentrici.
Alla fine trovai su un sito francese un tubo di resina epossidica con una trama a spirale incrociata di fibra di vetro, più o meno del diametro che cercavo. Era perfetto, soltanto un po’ fine, ma era l’unico compatibile e mi avrebbe risparmiato un sacco di tempo.
Provvisorio
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Assemblaggio provvisorio a secco per verificare la fattibilità.

Vi ricordate il mio giudizio sul sikaflex? Ecco, adesso invece ammetto un mio feticismo nautico: per me, quando si parla di tubi a bordo, esiste solo il tubo di PVC trasparente spiralato. Lo userei ovunque. Ma per questi diametri e su questa lunghezza (in tutto una ventina di cm) era davvero troppo rigido. Lo aveva dimostrato anche la versione che mi accingevo a smontare: alla fine il punto debole che assorbiva i movimenti non era il tubo ma la tenuta fra il dado e il passaparatia di plastica interno. Col silicone non perdeva, e probabilmente se avessimo usato un passaparatia di acciaio non si sarebbe mosso più neanche lui, ma comunque decisi di cercare un tubo più morbido.
Vi risparmio tutti i candidati valutati e scartati e passo al vincitore: il tubo di silicone che si usa in automobilismo per i radiatori. Morbido, resistente, fibrato e soprattutto lo fanno di tutti i diametri, praticamente di mm in mm.
Tubo morbido
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640


Quindi, avevo il tubo di resina di sezione utile interna di 34,5, esterno 38 (per uno spessore di 1,75), e il tubo di silicone di diametro interno 38 ed esterno 46. Era la sezione più ampia che avessimo mai avuto a bordo, adesso possono scaricare litri e litri di acqua in pochissimo tempo.
Ora gli ingredienti:
-tubo di resina a fette, 4: 2 di 3-4 cm per i moncherini interni, 2 più lunghi di 10-15 cm per quelli esterni, che essendo obliqui avevano bisogno di più superficie;
-2 pezzi di tubo di silicone da 20-25 cm per raccordare;
-4 fascette inox per stringere;
-resina e mat q.b.
Ho usato i fori che già avevamo, limitandomi ad allargarli. Quello esterno, per l’inclinazione del flap è stato allargato molto, diventando parecchio ovale, ma non mi disturba neanche troppo esteticamente, rimane basso e una volta verniciato sembra quasi lo scarico di una macchina sportiva.
All’interno ho usato parecchia resina e mat per creare un collare solido, che vada pian piano a ridursi in modo da non creare repentine riduzioni di spessore su cui possano scaricarsi le tensioni e diventare punti di rottura. Una volta resinato il gioco è quasi fatto.
Da così...
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

...a così
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Resinatura interna
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Centratura del moncherino interno
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Prima della resinatura interna, sempre scotch di protezione
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Si noti lo scotch di carta sull'estremità per evitare di alterare il diametro e produrre infiltrazioni.

Moncherino interno resinato da fuori...
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

...e da dentro
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Moncherini fissati
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Fine! Mancano solo le fascette
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Nel pozzetto ho approfittato anche per colare resina nella canala di scolo fino ad arrivare a sfiorare l’ombrinale, dopo aver messo in bolla la barca: in questo modo rimane dentro pochissima acqua e non diventa una palude di alghe.
Base di livello
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Bolla
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640


Certo, non è stato tutto indolore. Avrete sicuramente notato l’esiguo diametro del tubo di resina (come ho detto, non avevo alternative). Ebbene, stringendo una fascetta, con la chiave inglese, non col cacciavite, quindi esercitando troppa forza…CRACK.
Ecco, in questi casi, la lezione più grande che ho imparato è andare a dormire. Se ci si lascia prendere dal momento, imprecazioni varie a parte, si rischia di peggiorare la situazione. Io, nello specifico, avrei preso martello e scalpello e demolito tutto.
Il giorno dopo, a mente più lucida, ho tagliato un anello del tubo di resina, l’ho aperto per il lungo, in modo che si potesse restringere e l’ho resinato all’interno, dove era partita la crepa stringendo la fascetta. In quel punto, il tubo è spesso 3,5 mm e la sezione utile è ridotta a “solo” 31 mm. Questo è il mio grande segreto che ora conoscete anche voi. Le altre 3 fascette non hanno avuto problemi e non hanno perso una goccia.
Questa è la fine della saga degli ombrinali. Sono soddisfatto del risultato, sia in termini di efficacia che di eleganza. Sono perfetti? Assolutamente no. Sono belli diritti (anche troppo, una volta mi ci è scappato attraverso un piccolo sugarello), e questo è un gran vantaggio, dato che si possono pulire con un semplice scovolo, ma, essendo diretti verso poppa, se si fa retromarcia molto repentinamente e ad alto regime, entra un po’ d’acqua a bordo. A voler esagerare si potrebbe montare una valvola di non ritorno, ma al momento non sento la necessità. Inoltre, come ho già detto, ci vorrebbe un tubo più spesso, 3 mm sarebbe l’ideale.
La morale è, se qualcuno dovesse trovarsi in una situazione del genere, che, se la stampata interna è bella verticale, può andar bene anche un semplice passaparatia (purché sia di metallo), se invece la murata è molto inclinata, secondo me resinare un moncherino di tubo adeguato è alla fine della fiera la soluzione migliore come resa/costo/efficacia/semplicità.
Un’ultima riflessione: per mettere il tutto in opera, ho speso circa una settantina di euro, fascette comprese. L’anno prima ci erano voluti solo per i passaparatia inox. Alla fine, le due soluzioni migliori sono state anche quelle costate meno (la prima era quasi gratis). Con i prezzi sempre più alti, e tutto quello che è “per la barca” che costa un occhio della testa a prescindere, una nautica “a misura d’uomo” (e non di ricco) è ancora possibile.
Dal prossimo episodio abbandoneremo momentaneamente le questioni tecniche e ci dedicheremo un po’ all’estetica.
Levante Ligure
Gozzo Italmare 640
Capitano di Vascello
sergetto
1 Mi piace
- 15/32
wav
2° Capo
mimmoox
1 Mi piace
- 16/32
Bellissimo topic, avvincente. Attendo con trepidazione il prossimo episodio Wink
Bestway mirovia pro 330 + Honda BF15
Capitano di Fregata
marcomare
1 Mi piace
- 17/32
Complimenti per il topic e per i lavori che ci hai fornito in maniera dettagliata!

Sono i nostri "giocattoli" e la ricerca del miglioramento o risoluzione dei problemi fanno parte della nostra passione
Sottocapo di 1° Classe Scelto
conat (autore)
1 Mi piace
- 18/32
Capitolo 3 – Ritorno al legno
Intanto, grazie per tutti i complimenti. Fate pure domande se ne avete…e se riuscite a leggere tutto senza addormentarvi.
Come promesso, dopo le dissertazioni tecniche sugli ombrinali, ci occuperemo un po’ di estetica.
Non ho foto di com’era configurata in origine la coperta. Comunque, layout abbastanza standard per un gozzo: prua pontata fino a mezza barca, una panca che copriva una specie di cassettone/ripostiglio per tutta la larghezza, pozzetto e seduta di poppa dove c’è la tradizionale postazione di comando con guida a barra. Al centro del pozzetto il cofano motore molto rialzato che funge anche tavolino.
Delle configurazioni che ho provato, questa è la mia preferita: ampio prendisole a prua, per il relax, ampissimo pozzetto in cui si può davvero fare “walk around” attorno al motore, ottimo per la pesca e per “percepire” lo spazio muovendosi liberamente. L’unico difetto è col motore così esposto la rumorosità è maggiore.
Panca, cofano motore e seduta di poppa erano rivestite da un foglio di compensato in cui erano fresate delle finte doghe riempite a sikaflex. Vi lascio immaginare le pietose condizioni in cui versavano dopo anni senza manutenzione. Panca e cofano avranno ognuno il suo capitolo, qui parleremo solo della seduta di poppa.
Finita la prima stagione avevo comprato 5 o 6 tabelloni di mogano rosso per farci il capodibanda (arriverà il suo capitolo). Li avevo trovati su Subito, li vendeva un ragazzo che stava svuotando un fondo, erano residuati bellici di suo nonno, roba stagionata da tipo 50 anni. Mi sparò una cifra senza senso probabilmente dopo aver digitato su internet “costo mogano metro cubo”. Ora, io non ero un esperto di legni, ma sapevo che era un prezzo assurdo e glielo spiegai, e offrii circa un terzo immaginando che non accettasse. Accettò di buon grado. Probabilmente per levarseli di torno avrebbe accettato anche meno, ma non è mio costume approfittarmi della situazione, offri quello che pensavo valessero.
Mi sbagliavo perché, appunto, non ero un esperto di legno e non chiesi a nessuno di consigliarmi, immaginando che mi avrebbero dato del pazzo se avessero saputo tutto quello che avrei voluto farci. Li pagai più del loro valore, ma proprio considerando tutto quel che alla fine ci ho fatto, non sono pentito. Soprattutto se penso a cosa costa adesso del legno di abete, non oso immaginare il mogano.
Portai a casa il tutto caricato sul vecchio Santa Fè di mio padre, dentro, con i tabelloni che uscivano dal lunotto, lasciato aperto. In autostrada. Solo adesso mi rendo conto che forse avrebbero avuto ragione a darmi del fuori di testa.
Ne portai uno da una falegnameria che conoscevo, e mi fecero capire che, considerato quanto erano storte, lo scarto sarebbe stato tantissimo. Ma alla fine me la cavai con 60 euro: 4 tavoloni da 20 cm spessi 2, e una sfilza di listelli da 4x1. E al momento erano quelli che mi interessavano.
Listelli 4x1
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Per fare pratica decisi di rivestire lo sportello del pozzetto dell’ancora, un progetto facile facile.

Progetto
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Situazione di partenza
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Pre-Sikaflex
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Post-Sikaflex
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Risultato
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640


Bellissimo, ma a fine stagione era così:

A fine stagione...
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Imparai una cosa importante: sapevo che per i comenti si doveva usare il sikaflex, ma non sapevo che ne esistevano decine di versioni. Presi la più facile da usare, il 291, che tra l’altro uscì tutto dal retro della cartuccia perché non lo avevo scaldato, e mi fece fare un macello. Ho avuto le dita nere per una settimana. Ahi, la dura vita dell’autodidatta. Quindi, il 291 va bene per ritocchi o simili (almeno credo, ho smesso di usare Sika), ma non tiene il sole e si sfalda.
Inoltre, non ho ancora capito se dipendesse dal tipo di mogano o dal verso in cui ho chiesto i listelli, ma è estremamente fiammato (credo si dica così). Non fraintendetemi, a me piace molto, sembra quasi una radica, ma riconosco che non sia molto nautico, starebbe meglio su un comodino…
Non è più successo con gli altri tagli, ma entrambe le lavorazioni di quell’anno, quindi anche la seduta di poppa, hanno questo effetto.
Con la breve esperienza dello sportello dell’ancora, avevo un minimo di base in più per il lavoro ben più impegnativo a poppa.

Seduta originale
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Pre-Sikaflex
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Post-Sikaflex
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

In posizione
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Intanto ho staccato la vecchia seduta in compensato, che era attacca solo con qualche ciuffo di Sika, e poi ho fatto la dima. Dato che lo stampo della VTR in quel punto era super sottile e storto come una vigna, ho rifatto un piano coincidente di 15 mm di compensato marino. Ho dogato quello su cavalletti e poi ho attaccato il tutto sulla barca, con silicone e viti passanti.
La sfida, oltre le dimensioni, era una forma ben più complessa e rispettare tutte le misure, soprattutto quelle dello sportello. Pertanto ho lavorato sulla “mezzaluna” di compensato intera, e poi ho tagliato la copertura dello sportello soltanto una volta fissato il blocco sullo sportello stesso.
Inoltre, la tecnologia più avanzata che possedevo era un vecchissimo seghetto alternativo, i cui tagli erano molto imprecisi (dovevo ancora scoprire la fresatrice). Quindi tagliavo ogni pezzo 2-3 mm abbondante, e poi per fare il filo preciso mettevo il listello in morsa con un righello di ferro e passavo lo smeriglio col disco di cartavetra: il ferro era molto più duro e si consumava solo il legno. Ci voleva una vita: ogni pezzo andava provato più volte fino a raggiungere la fuga precisa di 4 mm, e resinavo solo due pezzi per volta, uno per lato, per usarli da scontro quando avrei messo i successivi due.

Listelli da rifilare
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Listelli rifilati
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Anche il bordo curvo non è stato semplice: non avevo una tavola da cui ricavare la sagoma ed era impensabile curvare un listello sul lato largo. Quindi ricavai dei piccoli listelli 1x1 e li resinai tenendoli coi morsetti contro una serie di perni avvitati lungo la linea di curvatura interna. Un po’ come fare un lamellare, si sarebbero tenuti l’uno con l’altro. Purtroppo non ho foto di questo interessante procedimento intermedio.
Ed eccoci arrivati.
Questa volta non ricaddi nell’errore del 291, mio zio mi fece scoprire il sikaflex 290 DC + primer. Il miglioramento nel lungo termine è stato sensibile, ma ho comunque abbandonato il sikaflex in favore del Teakdecking System SIS 440. Per me è davvero di un’altra categoria.
Qualche anno dopo rivestii anche la parte frontale dello sportello, che qui vedete a fine stagione, quindi non proprio nella sua forma migliore…

Rivestito anche il fronte
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Alla prossima
Levante Ligure
Gozzo Italmare 640
Sottocapo di 1° Classe Scelto
conat (autore)
1 Mi piace
- 19/32
Capitolo 5 – Nuovo Timone
A livello tecnico forse la modifica più interessante.
Il timone è un apparato fondamentale della barca, al pari del motore, che non dovrebbe mai rompersi. Quello che era montato di default dal cantiere era assolutamente pessimo.
In primo luogo, la barra (un bel pezzo di – credo – teak) era fissata alla pala soltanto da un perno che le consentiva di ruotare e alzarsi di una trentina di gradi per far aprire lo sportello sulla seduta di poppa (come forse si riesce a capire dalle foto precedenti). Questo la rendeva soggetta a vibrazioni e instabile. Per noi era inaccettabile.
La modifica è stata semplice: abbiamo fissato la barra con 3 perni passanti ben stretti, e semplicemente abbiamo invertito l’apertura dello sportello verso il basso, in modo che passasse sotto la barra e il gavone sottostante fosse ancora utilizzabile.
Il secondo problema da risolvere era più complesso: la pala, piuttosto grande, era spessa 3 centimetri! Ora, fino a 5/6 nodi non è un problema, ma quando si arriva nei dintorni della planata la resistenza diventa incredibile.
Non solo, il primo anno, appena rientrati a casa, abbiamo tagliato una parte del dritto di poppa (spesso circa 7/8 cm) a poppavia dell’elica. Non entro nei dettagli di quella modifica, che avrà un capitolo dedicato, ma, se prima la superficie utile era ridotta alla parte finale della pala, in quanto il dritto così largo ne schermava una buona parte, dopo la sua rimozione il timone diventò ingestibile. Per dare barra a 10 nodi ci voleva Maciste.
Certo, se non avessi tagliato il dritto non avremmo avuto questo peggioramento, ma quel dritto era veramente osceno, un residuo della carena dislocante da cui traeva origine la stampata, che in planata offriva una resistenza incredibile e perturbava i flussi dell’elica. Nel complesso, la sua rimozione migliorò la dinamica del mezzo. Ma ci costringeva a occuparci del timone.
timone originale
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Area di poppa originale
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Prima modifica
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

L’idea era quella di avere una pala in acciaio che sarebbe stata molto più sottile. La cosa più semplice ci sembrava “affettare” in due il nostro timone in legno, metterci in mezzo una piastra in acciaio e far terminare il legno a filo galleggiamento: in acqua ci sarebbe stata solo la piastra sottile.
Ma non riuscivamo a trovare una piastra di acciaio inox dello spessore adeguato (5-6 mm) abbastanza grande.
Prima bozza
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Trovammo invece su Subito una coppia di timoni in acciaio smontati da un vecchio Picchiotti di 13 metri, asse da 30 mm, pala spessa 8 mm. Sicuramente non si sarebbero piegati alla folle velocità di 10 nodi...
Il fratello, quello usato era più lungo e terminava quadro
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Sulla nostra vecchia barca, mentre la maggior parte dei proprietari preferivano la ben più semplice pala esterna su cerniere, mio nonno l'aveva equipaggiata con un timone in linea d’asse alloggiato in un astuccio interno. Soluzione più complicata ma più raffinata che non diede mai problemi. Squadra che vince non si cambia, ma in questo caso non aveva abbastanza spazio dietro l’elica, doveva collocarlo per forza esternamente.
Tuttavia, l’idea rimaneva buona, quindi suggerii di adattarla al dritto di poppa, attaccandoci ad esso dalla parte sterna. Avremmo poi coperto il tutto con una carenatura posticcia per farlo sembrare un timone “interno” a tutti gli effetti.
Un ulteriore problema era allungare l’asse fino ad oltre la murata: potevamo tagliare l’originale a filo della pala e saldarcene uno della lunghezza adeguata, risparmiando peso, ma rischiando un allineamento impreciso, oppure giuntare quello che avevamo.
Trovammo un tubo da 30 mm che aveva un diametro interno pari a quello della parte terminale dell’asse (si restringeva a 26 mm per circa 5 cm e poi aveva 10 cm squadrati che fungevano da “chiavetta”).
Dettaglio innesto con un po di photoshop
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Ci abbiamo messo un grano e abbiamo colato resina all’interno per sfruttare anche la parte squadrata del tubo.
A questo punto asse e pala del timone erano pronti, andava assemblato l’“astuccio”. La sfida principale era realizzare il tutto con pezzi standard disponibili sul mercato, senza cercare costose lavorazioni su misura in officina.
Di seguito il progetto originale:
Progetto originale
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Prevedeva due boccole in resina per assi da 30 mm dentro due spezzoni di tubo quadro saldate al dritto. Fu modificato in seguito da mio nonno prevedendo che le sedi delle boccole si avvitassero al dritto tramite 4 fori da 8 ciascuna. In questo modo, lo smontaggio, che abbiamo fatto più volte, è veramente rapido.
Ma come realizzare l’allineamento?
Abbiamo messo in bolla, in orizzontale, la piastra cha andava sul dritto, con i due spezzoni di tubo quadro (le sedi delle boccole) già avvitati in posizione, e dentro ci abbiamo infilato l’asse del timone con le sue boccole, anch’esso centrato ed in bolla. Poi da sopra, attraverso due fori (uno per l’ingresso del liquido e uno per lo sfiato dell’aria), abbiamo colato della resina fra le boccole e il tubo quadro (naturalmente avevamo tappato i lati). Spero che le foto chiariscano, anche se non ne ho molte.
Allineamento asse
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Procedimento
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

In questo modo, la resina faceva corpo sulle boccole dello stesso materiale e, dandogli una forma quadrata, avrebbe impedito che girassero su loro stesse. Per evitare movimenti longitudinali, abbiamo inserito dei grani nelle forature dove avevamo colato.
Una volta catalizzata la resina, l’allineamento era stabile.
Per sopportare il carico del timone, non proprio leggero, dovevamo scaricarne il peso sulla struttura in acciaio legata al dritto, altrimenti avrebbe gravato tutto sulle boccole. Abbiamo messo una piastrina di acciaio che scontrava sul quadro, forata a 32 per non interferire con le boccole, tenuta tramite viti (che hanno la sola funzione di non farle ruotare ed uscire dalla sagoma quadrata, il peso è trasferito per gravità). Sull’asse, invece, ho usato dei “collarini” (non so come definirli), che si usano per i tubi dei tendalini e i pulpiti, della Osculati, opportunamente modificati per toglierci l’appendice che non mi serviva. Per sicurezza, anche questi hanno avuto il loro grano in modo da non affidarsi solo all’attrito. Fra questi e la piastrina una rondella di plastica che fa da cuscinetto antivibrazioni.
Modifica anche qui photoshoppata
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Dettaglio della scatola della boccola
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Da ultimo, la barra è stata modificata inserendoci una piastra di acciaio, resinata e imbullonata (curiosamente, questo è proprio quello che avremmo voluto fare anche sulla pala se solo avessimo trovato una piastra sufficientemente grande) fissata all’asse con gli stessi “collarini” Osculati, ma non modificati.
Barra
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

In opera
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

In acqua
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Alla fine, non abbiamo mai completato la carenatura per “inserire” il timone, di fatto, dello scafo, un po’ perché non ne abbiamo mai avuto il tempo… un po’ perché alla fine ci piace vedere il lavoro che abbiamo fatto.
Levante Ligure
Gozzo Italmare 640
Sottocapo di 1° Classe Scelto
conat (autore)
2 Mi piace
- 20/32
Capitolo 6 – Nuove Panche
L’allestimento originale prevedeva una vera e propria cassapanca sulla sezione maestra per tutta la larghezza della barca, con tre sportelli apribili per potervi stivare sotto varie ed eventuali.
A parte il fatto che ogni portello aveva un lucchetto con una chiave diversa, che si andavano ad aggiungere a quello principale, quello dell’ancora, di poppa, del motore… praticamente un mazzo di chiavi che neanche il custode del Louvre. E poi non erano stati pensati per essere stagni, dettaglio chiaramente trascurabile per una barca, quindi dentro la cassapanca era impossibile tenervi alcunché di importante.
Ma soprattutto era brutta.
Appena tornata a casa, dopo la prima stagione, ho rimosso la falsa paratia frontale, in compensato verniciato di bianco, e il fondo, ottenendo già un bell’alleggerimento. Io avrei tolto anche la panca, che aveva ancora tutta l’aria di essere un’aggiunta posticcia poco curata. dritta com’era contro il profilo curvo del baglio della sezione maestra si notava davvero tanto. Ma mi dissero che era pur sempre una comoda seduta, quindi ci siamo limitati a portarla a legno vergine (tra l’altro scoprendo un’intelaiatura in un legno non identificato giallissimo – sembrava Samba – subito opportunamente riverniciato di impregnante scuro per uniformarlo al resto).
Panca originaria
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640


Ho quindi iniziato a pensare a come armonizzarla col design della barca, avendo ben chiaro che prima o poi l’avrei fatta sparire.
Il punto fondamentale era seguire la linea curva del baglio. Poi volevo snellire l’impatto del legno smezzandola in due strutture separate, curvilinee, che l’avrebbero slanciata. Questa era l’idea:
Progetto nuove panche
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640


Una volta stabilito cosa volessi, era piuttosto facile da realizzare.
La struttura portante sarebbe stata ovviamente di compensato marino, almeno da 1 cm e mezzo. Per fargli mantenere la curvatura avevo bisogno di due fogli da 8 mm, incollati in morsa su una dima con la stessa curvatura del baglio, in modo che un foglio tenesse l’altro.
Il rivestimento è stato fatto con i soliti listelli in mogano 4x1, con fughe da 4 mm riempite di TD SIS 440. Questa volta per realizzare la fuga tonda in corrispondenza della curva avevo scoperto la fresatrice verticale, ma non sapendola usare ancora bene feci un po’ di macello (da distante non si nota).
Panda SX in prova
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640


La parte più difficile è stato posizionare il listello verticale, che andava curvato seguendo il profilo disegnato. Un nostro parente ci ha insegnato questa tecnica: avvolgere il listello dentro uno straccio bagnato, avvolgere il tutto con la carta stagnola, e poi scaldare con il cannello finché non esce il vapore.
Piega listelli
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640


Per i supporti ho usato quelli della vecchia panca (un po’esagerati).
Panca sui supporti
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Dettaglio panca di dritta
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Panca di dritta in opera
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Entrambe le panche in opera
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640

Prima-dopo panche
re: Storia di una barca che diventò la nostra – Gozzo Italmare 640


Nel complesso, secondo me, questa semplice modifica ha slanciato tantissimo le linee della barca. L’unico dubbio che ho avuto, e ancora mi assale, è se le panche fossero state da allineare al baglio, come sono state posizionate, o del ponte di prua, quindi qualche centimetro più in basso…
Levante Ligure
Gozzo Italmare 640
Sailornet